domenica, agosto 03, 2025

Bombe contro Dio?

Dopo i saggi di petardo-mania che gli eroi del «botto» hanno ostentato per le strade in occasione delle vacanze natalizie, abbiamo avuto veri e propri attentati nei templi in attesa del primo divino vagito e in qualche casa religiosa mentre le famiglie erano riunite intorno alle mense per il tradizionale cenone.

Tubi di gelatina collocati nella cattedrale di Favara (Sicilia) hanno causato danni all’edificio.

A Porto Maurizio venivano lanciate due bombe contro il maggior tempio affollatissimo, durante la celebrazione della Messa di mezzanotte, provocando danni di notevole entità.

Altro attentato del genere si è verificato a Cortenuova, nei pressi di Empoli.
Una formidabile deflagrazione ha terrorizzato gli abitanti di Albano nella stessa notte santa, causata dall’esplosione di una grossa carica di tritolo davanti al cancello del Giardino Murialdi, dove hanno sede i Padri Giuseppini.

Non è chi non veda in questi atti sacrileghi e simultanei l’esecuzione bestiale di ordini che partono da una «centrale» e vengono attuati da irresponsabili, tanto più che gli attentatori son giovinastri intorno ai vent’anni, i quali dal petardo innocuo possono passare al tritolo e alla bomba con una certa... fanciullesca disinvoltura.

Ma che si vuole ottenere con simili gesti criminali? Che le folle disertino gli altari dove le troppe miserie aggravate dalla discordia le chiamano con irresistibile voce?

Le genti sono avide di un dono immenso che i «grandi» della terra dimostrano con recidività impressionante di non saper dare, e si rivolgono a Colui che commise a Pietro la salvezza della sua eredità: «Vi lascio la pace, vi dono la mia pace!».

Si vuole impedire che Gesù manchi all’appuntamento nell’algida notte di Natale, e porti altrove il suo primo vagito, lontano dagli uomini di cattiva volontà?

Oppure «i fautori della negazione e della discordia, con tutta la schiera di profittatori che trascinano al loro seguito, vogliono così dimostrare il proprio giubilo, al pensiero o all’illusione che la loro ora è vicina?».

Certo, chi agisce con tanto livore, nell’ombra, è nemico acerrimo di Colui dalle cui labbra uscì un giorno il grido: «Veritas liberabit vos».          
«Questo grido — ha detto il Pontefice — non è mai risuonato più potente che oggi in un mondo che sente gravare su di sé il giogo della menzogna».

Dichiarino dunque i senza-Dio la loro guerra maledetta all’umanità tribolata. Il rigurgito d’odio potrà tutto travolgere e annientare: ma finché sulla terra resterà un solo uomo-immagine e somiglianza del Padre, l’Unigenito Figlio tornerà sempre a farsi crocifiggere per lui, a elargire a quell’uomo pace, verità, Amore.

 

BENIGNO

4 gennaio 1948

domenica, luglio 27, 2025

Volti tumefatti e cascate di dollari

La notizia dell’incontro di pugilato fra Joe Louis — il bombardiere nero — e Jersey Joe Walcott — il pugile affamato — che, come si dice in gergo sportivo, s’è battuto con generosità senza pari, era passata quasi inosservata, incalzata da notizie di scontri... collettivi, quando ci son capitate sott’occhio due foto d’oltreoceano: quella della famiglia del «povero negro» e l’altra che mostra, nell’ultimo sforzo dell’atleta, la sua smorfia di indescrivibile dolore: un misto di angoscia e di delusione, uno spasimo di tutto l’essere, proteso a conquistare quella vittoria di cui l’opinione pubblica è tuttora convinta che gli spetti. E lo dimostrano i numerosi telegrammi indirizzati al Governatore dello Stato di New York per protestare contro il verdetto dell’arbitro.

Nonostante il volto tumefatto e un occhio semichiuso del vincitore (ma questo non c’entra, asseriscono i competenti) il verdetto difficilmente verrà annullato; mentre sembra certo che il famigerato organizzatore Mike Jacob non si lascerà sfuggire l’occasione per effettuare l’attesa rivincita.

Si specula sul dolore fisico e morale; si coglie il pretesto della vittoria carpita per provocare un’altra cascata di dollari e solleticare la ferinità nell’umana natura... collettivizzata.

Non abbiamo mai compreso, nonché giustificato, un genere di sport che aizza l’un contro l’altro due esseri, due corpi, due anime che si massacrano per l’avidità altrui. È risaputo, infatti, che il benessere materiale dei pugili più famosi dura poco, ché troppo breve è il loro passaggio terreno, affrettato dal bestiale mestiere.

Ma ciò che più impressiona in queste due foto, oltre al volto indefinibile del «pugile affamato» è la famigliuola che il Pastore della chiesa del Calvario saluta laggiù, nella porta del tempio, stringendo la mano al campione, prima della prova. I sei fanciulli sono intorno al padre che sta per tentare di cambiare la loro sorte. In prima fila ci sono: Elva di 12 anni, Loris di 10, Ruth di 9, Vincent di 7, Carol il minore, di 3; dietro, fra Jersey Joe e il Pastore c’è Arnold, il figlio maggiore, di 14 anni, accanto alla madre.

Guardate i volti: vicino ai più o meno inconsapevoli profili dei minori, ecco il volto ottimista di Elva che sorride alla visione di una imminente bramata felicità, cui fanno contrasto lo sguardo pensoso di Arnold e quello addirittura terrorizzato della moglie del pugile sfortunato. Né si può affermare che la faccia del Pastore sia incoraggiante...

Unico conforto a tanto «botte» ricevute invano, la sarabanda dei fratelli negri che portarono in trionfo... il vinto.

Ma che bel mestiere arricchirsi a spese delle folle imbestiate e dei volti tumefatti!

BENIGNO

28 dicembre 1947

domenica, luglio 20, 2025

Ritorno del principe azzurro

Già, pare impossibile: nonostante il fango che scorre nelle strade, le Lucie moderne (che rappresentano poi quanto di meglio possano sperare i giovani per metter su famiglia) ritornano a sognare il Principe Azzurro. Non sarà più il bellissimo Delfino che rapiva la bella in un cocchio tirato da quattro coppie di cavalli bianchi e che accoglieva la spaurita sposina dentro le ali del suo ampio mantello di velluto, ma insomma «le nozze di Amalia Salamene — palermitana — costituiscono una storia abbastanza movimentata, e, in un certo senso, drammatica». Fidanzatasi tre anni fa in Italia con un soldato, tale Michael Biarrio, giunse in America lo scorso agosto, usufruendo degli speciali permessi concessi alle fidanzate degli ex-combattenti. Senonché... poco dopo il suo arrivo fu annunciata la rottura del fidanzamento. Biarrio spiegò che la fidanzata era diventata... troppo «complicata» (Sfido, cercava il Principe!). E allora bene ha fatto il Biarrio, ché, fra i difetti riscontrati nel grande popolo d’oltreoceano, un pregio è certo, ed è quello della semplicità — anche troppa — con cui affrontano le situazioni ordinarie e... straordinarie; talvolta si direbbe faciloneria.

In base alle severe leggi sulla immigrazione, Amalia avrebbe dovuto rimpatriare; ma sì, ben 60 — diconsi sessanta — cittadini americani si offrirono in quella occasione di sposarla perché potesse restare in America.

Fu così che Louis Cadello sostituì Michael Biarrio.

L’idillio non poteva durare a lungo perché l’affetto non si offre, si conquista. Trovò anche Louis «difficile» la fidanzata o fu Amalia a non trovare in lui quel che aveva sognato?

Sta di fatto che la «complicata» fanciulla s’è finalmente decisa ad annunciare il suo imminente matrimonio (forse a questa ora celebrato) con... Ed eccoci al mistero. Il nome dello sposo è giunto incompleto, pressoché ignoto come si conviene ai Principi Azzurri. Si sa soltanto — ed è l’importante — che il Vescovo di Springfield, vista l’urgenza e l’eccezionalità del caso, ha concesso la dispensa dalle pubblicazioni.

Noi non possiamo che formulare i nostri cristiani auguri, tanto più fervidi in quanto il matrimonio si celebra nella chiesa intitolata a Monte Carmelo, la montagna della Palestina famosa per i miracoli che vi operò il profeta Elia.

Dopo di che vorremmo aggiungere un consiglio alle fanciulle nostrane. Il noto adagio della moglie e dei buoi paesani ha indubbiamente fatto il suo tempo, anche per l’irriverente accostamento, ma sta di fatto che il Principe Azzurro — di cui salutiamo l’auspicato ritorno caro ad ogni anima bennata — è più facile trovarlo nel paese di nascita, o, almeno, in terra d’origine.

Sappiamo di atroci delusioni di sposine europee che salparono col marito straniero per raggiungere paesi d’oltremare. Qualcuno che con semplicità tutta americana s’era presentato come principe o giù di lì, è tornato in patria con la moglie a fare il garzone di latteria o il ciabattino!

Quando si dice l’esteromania!

Benigno

21 dicembre 1947

domenica, luglio 13, 2025

Dopo la scuola si marina … la casa

Anche ieri — narra la cronaca — sono fuggiti dalle rispettive abitazioni tre ragazzi di 12 anni: Leonardo Ancona, abitante in Via della Scrofa, 134; Rosario Conti, abitante in Via di Valle Aurelia, 80; e Marcello Pompei, abitante in Via Pietro Bembo, lotto 17 (Primavalle). I domicili servono a chiarire qualche circostanza... speciale? No; servono soltanto a indicare — almeno gli ultimi due — che si tratta di famiglie della periferia, e, probabilmente, non abbienti: il che lascerebbe supporre fosse in giuoco la fabbrica dell’appetito non del tutto soddisfatto tra le pareti domestiche. Senonché il Conti, quello di Via di Valle Aurelia, precisa la cronaca che scappando di casa ha portato con sé un prezioso anello appartenente alla madre. Grande stupore del confratello del mattino, che con aria nostalgica commenta: «Le fughe dei ragazzi di una volta potevano commuoverci, erano pagine indimenticabili nella storia dell’infanzia. I bambini d’una volta leggevano “Sussi e Biribissi”, un libro in cui si narrano le avventure di due ragazzi che vogliono raggiungere il centro della terra».

Scappare di casa per il miraggio d’una bella avventura! Chi di noi, confessiamolo, non è scappato di casa, almeno con la fantasia, leggendo certe pagine avvincenti di piccoli eroi, che sapevano trasformare in sogno le immagini e gli esempi della quotidiana realtà? Gli è che oggidì i fanciulli sono abbandonati a se stessi, e se proprio certe letture non sono date loro in pasto, vengono permesse, il che è equivalente. E allora nessuna meraviglia se al posto di specchietti e coralli per ammansire gli eventuali selvaggi in un mondo di conquista, i ragazzi moderni e... progressivi sottraggono alla mamma un anello prezioso. Sono di una logica sconcertante i ragazzi «novecento» e attaccati alla realtà loro scodellata in tutte le salse, anche piccanti, come l’ostrica è attaccata allo scoglio.

Ma non esageri il confratello col monito: «Sculacciateli senza pietà!», che riprende con domestica affermante lo «sterminateli!» di tragica e... attuale memoria. Noi saremo inguaribilmente evangelici, ma dobbiamo ricordare che Gesù impugnò la fune, cioè diede un pallido saggio dell’ira divina coi mercanti che profanavano il Tempio del Padre.

Nel tempio della casa dell’uomo, specialmente se cristiana, i genitori facciano l’esame di coscienza; meditino, cioè, chi fu il primo a profanare la santità del focolare con la parola e con le opere. Si convinceranno che il vergine cuore del fanciullo non si conquista con le «manate» ma ancora e sempre con l’amore: il che vuol dire aver cura di lui come di una perla rara, come di un delicato cristallo che l’alito impuro appanna.

Allora si accorgeranno che l’amore vince; anche in quella casa dove ci sia poco pane e poco panno, il «passerotto» sentirà tanto calore da non avere il coraggio di abbandonare il nido.

BENIGNO

7 dicembre 1947

domenica, luglio 06, 2025

Borsa nera del divorzio e santità del matrimonio

La disintegrazione sociale è in atto: di Dio, infatti, si può fare a meno perché non si vede; la patria è là dove si sta meglio; la famiglia... ecco, bisogna dar colpi di piccone a questa pietra angolare dell’edificio. E si attenta alla santità del matrimonio predicando il libero amore e praticando, cioè, estorcendo il divorzio a prezzi di borsa nera.

Notizie recenti c’informano che in Ungheria il dente del giudizio matrimoniale si può cavare con meno di un milione, mentre in Romania ne occorrono due, ed anche tre quando i richiedenti sono molto ricchi. Un lusso, come si vede, a carattere rigidamente morale e antiprolerario. Mentre però, col divorzio ottenuto in Ungheria, i coniugi perdono la cittadinanza italiana, ciò non avviene in Romania. Non che tale perdita impressioni troppo quei tali coniugi. È noto che per raggiungere lo scopo, in certi casi essi non esitano a rinunciare anche all’Italia, divorziando in Ungheria: per lor signori la patria dev’essere al servizio dei sensi.

Qual è la prassi... provvidenziale? S’occupa di tutto l’avvocato, il quale, in collegamento con un collega rumeno, scambia lettere e documenti, fissando anzitutto il domicilio delle parti in un qualsiasi paese rumeno. Dopo pochi mesi, tramite il ministero degli esteri, arriva in Italia la sentenza di annullamento di matrimonio fra le due parti residenti in Romania, che viene qui trascritto a margine dell’atto di matrimonio. Nessuna altra interferenza giuridica è necessaria, in base all’articolo della convenzione italo-rumena del 1889, interpretato «ad usum delphini». Si elude così l’intervento dei tribunali italiani, i quali, per l’art. 34 del Concordato con la Santa Sede, dovrebbero dichiarare ineseguibili e privi di valore gli annullamenti carpiti all’estero.

Conclusione: della pastetta in famiglia la Chiesa nulla sa; bigamo è per lei quello dei coniugi che passi a seconde nozze, come è colpevole di concubinaggio chi... li impalma.

Bigami dunque consapevoli e consenzienti al male, cioè al vizio, ché, a prescindere da qualsivoglia considerazione, la Chiesa non si presterà mai a scappatoie di questo genere, profondamente immorali perché monopolio di milionari.

Dal «non licet» ad Enrico VIII, il re poligamo, la Chiesa non ha ceduto di un pollice e tutto quanto avviene a sua insaputa è fuori della legge di Dio, il quale creò uomo e donna e li benedisse esclamando: «Crescete e moltiplicatevi»; e aggiunse: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due esseri in una sola carne».

Il matrimonio è inoltre, per volere di Gesù Cristo, supremo legislatore, ripristinato nell’unità e nell’indissolubilità, accrescendo la grazia santificante e conferendo la grazia sacramentale per adempiere i doveri dello stato coniugale.

Come potrebbe allora la Chiesa, sposa di Gesù, tradire il mandato avuto dal suo Sposo divino?

Dissentano pure i legulei pro e contro il divorzio carpito in terra straniera. Dire oggi «mi sono annullato in Romania» è diventato «snob», indizio di una esistenza alla Sartre, cioè famelica di tutti i vizi. Ma la Chiesa non deflette e non defletterà mai, perché sa, oltre a tutto, che il rimedio è peggiore del male.

Non può cioè consentire che l’umana società si trasformi in conigliera.

BENIGNO

7 dicembre 1947

domenica, giugno 29, 2025

Il bagaglio pronto

 Arrivati all’età matura s’aspetta che qualcuno bussi alla porta da un momento all’altro.

«Purché sia accompagnata — si pensa — tutto andrà bene».

Ma sarà accompagnata se avremo preparato il bagaglio; il che significa aver fatto la pace, prima con sé, poi con il prossimo. Allora la misteriosa visitatrice può arrivare anche inavvertita. Non solo non fa paura, ma si aspetta che ci passi la mano un po’ fredda sulla fronte come una madre, e magari ci aiuti lei a portare il bagaglio fino alla presenza del Padre.

Matteo non aveva mai pensato, in verità, che qualcuno potesse bussare alla porta di casa per prelevarlo e portarselo via. Di prelevamenti aveva sentito parlare, ma non potevano interessarlo, e tanto meno preoccuparlo, non essendosi mai occupato di parte guelfa o ghibellina, di bianchi o di neri, di palleschi o di piagnoni: perché per Matteo, uomo saggio e pensoso di tanti umani eventi, fuorché dell’evento definitivo, tutto si riduceva, almeno nel suo povero paese, a un ripetersi di cicli storici, e perciò di lotte intestine tra fazioni. Soleva dire che la sua gente era troppo geniale e che la natura si ripagava della genialità prodigata condannandola alla miseria. Convinto perciò che ogni partecipazione alla lotta che non sia quella per il pane quotidiano si risolvesse in perdita di tempo e di sangue, Matteo aveva imparato a guardare la vita con occhi di esiliato. Può un esiliato interessarsi agli avvenimenti del paese che l’ospita? Le folle per lui non erano che greggi allucinate, in perpetuo cammino dietro un falso miraggio, greggi manovrate da pastori pensosi di un solo problema: il proprio. Non s’accorgeva, però, che fuori del gregge non era concesso neppure di partecipare della stessa vita, ché questa esclude o butta ai margini i disertori.

Matteo, uomo saggio, in fondo, e probo a modo suo, non aveva mai visto la Morte in faccia. Gli avi erano scomparsi prima ch’egli venisse al mondo, e padre e madre scoppiavano di salute. Non aveva altri parenti prossimi o remoti. Misantropo per natura, egoista per elezione, non s’era mai accorto che la falce mieteva intorno a lui di giorno in giorno. Non era mai entrato in un cimitero; non aveva mai voluto seguire un corteo funebre. Se ne vedeva qualcuno da lontano, cambiava strada. Si giustificava dicendo che una cosa è la vita, una cosa è la morte e che della vita bisogna godersi i frutti più maturi, se no li colgono gli altri a tue spese. Di conseguenza, Matteo era sempre di buon umore: un esiliato, insomma, che avvicinava il prossimo solo per trarne vantaggio.

Quella sera andava verso casa sorpreso da un’ansia mai provata. Sentiva nella testa e nel sangue uno strano vago risentimento. All’angolo guardò: il portone era chiuso a metà! Fece le scale di corsa, aprì la porta col gelo fra i capelli. La vecchia madre gli venne incontro, lo baciò, lo condusse, gl’indicò la casa di fronte.

— È morto il Cav. Venuti. Bisognerà vegliarlo stanotte: sai, è stato sempre buono con noi.

— Sì, mamma, sì.

Nessuno gli levò dalla testa che la «nemica» dei reprobi e degli indifferenti aveva sbagliato porta; e quella notte stessa, dopo la veglia, cominciò a prepararsi il bagaglio, cioè a fare l’esame di coscienza.

Fu il primo richiamo; ma ne ebbe altri, Matteo, prima di partire da questo mondo. E se li meritò con la consolidata fede. Nessuno di noi sa invece se, col bagaglio in disordine, avremo tempo di raccomandarci l’anima al Padre; perché tutte le ricchezze, le battaglie, le conquiste della vita, non valgono quella semplice previdenza: tenere il bagaglio pronto.

Benigno

23 novembre 1947

 

domenica, giugno 22, 2025

C’è guerra nei cuori

Da tre anni e passa ci stiamo illudendo che la guerra è finita. Ce la diamo ad intendere come al malato grave si dà ad intendere che è prossima la guarigione, mentre di prossimo non c’è che la morte; ma della guerra scoppiata nei cuori, della guerra ancora e sempre in atto ci accorgiamo anche senza leggere le gazzette.

Gli occhi di chi ci passa accanto hanno la stessa inquietudine di allora, quando ci straziavano tremendi ordigni di distruzione: la stessa aria smarrita, la stessa ansia dipinta nei volti, seppure temperata in taluni dall’ingordigia di vivere, in altri dal desiderio di straniarsi dalla giornata mortale, di «evadere» insomma, parola che ha fatto le spese di troppo romanticume per conservar tuttavia qualche significato.

Niente da fare; non ti strani, non evadi, anche se fai lo sciopero della lettura, anche se scantoni alla svelta per non captare al vicino chiosco quel che t’urla all’orecchio lo strillone fantasioso, il quale non ha più nulla da inventare, tanto la realtà supera qualsivoglia fantasia. Basta che lo sguardo scorra le sgargianti mostre dove donnine succinte (quando s’accorgeranno che sono molto più interessanti decentemente vestite?) o truculente figure da tragedia vengono date in pasto alla morbosa curiosità del pubblico. Basta fermarti ai titoli della cronaca sempre più nera, che ha creato periodici d’ogni tipo e colore, dove tutto ciò che di più intimo e miserrimo c’è nella natura umana, vien messo a nudo brutalmente.

Ma non allarghiamo la visuale e limitiamoci ai delitti. Ecco una rapida elencazione dei «fattacci» di questi ultimi giorni:

— «Maria Fusco crede che il capitano Ring sia stato ucciso. La donna ha lasciato chiaramente comprendere che l’uccisione del capitano debba ritenersi legata a un affare di controspionaggio. Il Ring conduceva, infatti, vita misteriosa ed era continuamente in relazione con elementi della polizia inglese. Tutte le notti lasciava la casa quasi di nascosto: prendeva una gondola e vagava per la laguna».

— «Accertato dall’autopsia che l’abate è morto soffocato».

— «Lai Quadrini lo ha dannato — ha detto — il venerando avv. Marzi».

— «La tragedia del Veruno. Una lettera testamento trovata indosso all’assassino. È stata trovata una lettera nella quale Alessandro Sarò spiega le ragioni che lo hanno spinto ad uccidere la vedova, non avendo voluto questa mai corrispondere alle sue insistenti profferte d’amore. Nella lettera egli poi dispone dei suoi modesti beni e lascia alla moglie, con la quale non andava più d’accordo, la “stanza maledetta” come egli chiamava la camera nuziale».

— «Spara 10 revolverate perché non lo lasciano dormire».

— «Noleggiano un taxi, rapinano l’autista e lo lasciano mezzo morto sull’argine del Tevere».

Ed ecco la nota bellica autentica:

— «Ragazzo ucciso da una mina anticarro».

Poi la nota politica:

— «Nuova aggressione contro l’On. Matteotti» (già, si tratta proprio del figlio della vittima che da un quarto di secolo incombe sulla vita politica italiana. E tralasciamo le violenze dell’ultima battaglia elettorale culminate nell’assassinio di Gervasio Federici).

— «Strozza la moglie incinta di sette mesi perché è stanco della vita coniugale».

«Dulcis in fundo» il dramma di gelosia:

— «Un polacco ubriaco e cocainomane ferisce gravemente l’amante e uccide la figlia dodicenne a revolverate».

Ce n’è proprio per tutti i gusti... marci! E abbiamo volutamente escluso quelle orripilanti gazzette illustrate, specializzate nell’introspezione dei crimini, che in nome di una mostruosa libertà continuano a intossicare anime e cervelli. Significativo: il novanta per cento dei protagonisti di queste... brillanti avventure sono giovani dai diciotto ai trent’anni. E non parliamo dei violenti contro se stessi: i suicidi.

La guerra dunque continua: il suo seme maledetto trova il solco concimato da tutte le più immonde sozzure. Un lezzo di basse passioni, di sentina, di odio sale dalle strade malfamate.

Non ci sarà tregua d’armi finché c’è guerra nel cuore.

 

BENIGNO

16 novembre 1947

lunedì, giugno 16, 2025

Chesterton Day 2025

 

Qui trovate le registrazioni del Chesterton Day 2025 che si è svolto sabato 14 giugno presso la Central Catholic Library di Dublino

domenica, giugno 15, 2025

Quando si aspetta fuori …

NEROLA, nov. Al chilometro 47 della via Salaria, una belva (ma perché riabilitare certi uomini chiamandoli belve?) approfittando del viandante che chiedeva una mano per riparare la bicicletta, lo conduceva dentro casa e lo trucidava: a colpi di mazza e di coltello, proprio come accade al mattatoio. Poi seppelliva la vittima nell’orto attiguo, presenti in casa la moglie e i figli terrorizzati.

Il primo delitto — racconta la cronaca — avvenne il 5 luglio 1944. Tre uomini si dirigevano da Rieti verso Roma, ciascuno con una bicicletta a motore: erano Giovanni ed Amilcare Marchionni e un loro cognato, ravvicinato Pietro Monni. All’altezza del 47° chilometro della Salaria, il motorino del Monni si guastò. «Andate avanti: vi raggiungerò presto» disse l’avventurato ai due congiunti: e bussò alla casa del Picchioni, che gli offrì ospitalità per la notte. All’alba il mostro puntò il fucile contro la fronte dell’ospite che non si destò più.

L’altra vittima — Alessandro Daddi — un bel giovane pieno di vita, era partito da Roma nel maggio scorso con una bicicletta munita di motorino «cucciolo» per recarsi a Pontigliano a portar medicinali alla madre ammalata. Verso il 47° chilometro bucò e, sprovvisto di mastice, ne chiese alla casa più prossima. Mentre Ernesto Picchioni fingeva di frugare in un cassetto, Daddi si chinava sulla ruota, quando fu colpito violentemente al capo e s’accasciò. Consapevole della sua fine, implorava: «Prendi tutto quel che ho, ma non ammazzarmi!». La risposta fu un colpo di coltello alla gola. Un rantolo seguito da un tonfo; poi silenzio...

Cioè, silenzio tragico quella notte, ché la gazzarra è incominciata dal giorno della cattura della belva (chiamiamola così per riabilitare l’uomo) da parte di gazzettieri specializzati in cronaca nera. Quel che a noi interessa è la povera umanità che ha vissuto fino a ieri nel clima di tragedia: e non tanto la moglie Filomena Lucarelli (che se non dovrà proprio rispondere di correità, appare almeno succube) quanto il figlio quattordicenne Angelo, il quale ci è apparso non sappiamo se più stordito o indifferente, a volte smarrito in una timidezza arida, tal’altra colpito da una forma di ottusità che denuncia il germe dell’atavismo.

Non è infatti necessario risalire troppo per li rami per rintracciarvi un filo di sangue (pare che il nonno dell’Ernesto Picchioni abbia ucciso). Questa scialba figura di fanciullo precoce, che ha visto, che ha sentito, che ha respirato in quel clima, ci fa pensare; muove a pietà e sgomenta più degli altri personaggi, i quali possono facilmente difendersi dai virus maligni, come del resto la Lucarelli ha dimostrato. La tenerissima età dei figli minori è di per sé la difesa migliore. Sarà opportuno invece che su questo figlio primogenito dell’assassino, (che ha nome Angelo!) si eserciti particolarmente la sorveglianza in quel provvidenziale istituto di rieducazione che sta per accoglierlo. Considerazioni? Le ha già fatte — e da par suo — il corsivista dell’organo quotidiano, commentando alcune sintomatiche dichiarazioni del parroco di Nerola, il paese del Picchioni: «Ho amministrato la prima Comunione al due figli maggiori poco tempo fa. Lui li accompagnò fino alla chiesa e li aspettò fuori; quando uscii con i ragazzi, il Picchioni mi salutò e ringraziò».

Ecco il commento nella sua parte essenziale: «All’indomani dei crimini spaventosi di Nerola, all’indomani di quelli terrificanti del mondo, quanti sono e restano fuori di chiesa! Quanti incoerenti come l’assassino, vi accompagnano i figli e li aspettano fuori, ringraziando e salvando anime, in un modo ben sinistro; preparando la miscredenza e la rovina con l’esempio e nel clima d’una società che non crede».

Perfetto; perché è ormai dimostrato che, restando fuori di chiesa, si rischia di coltivare quel tale macabro orto: qui a Nerola e ovunque.

 

Benigno

9 novembre 1947

domenica, giugno 08, 2025

Sinfonia d’Ognissanti

L’aria è già pregna di crisantemi, ma non pensi ai morti. Sai che per chi crede, la morte è soltanto apparente, e quelli che tu chiami «poveri» — i morti nella sua Grazia — son più vivi di quanti s’agitano per le strade del mondo, pieni d’ansia e d’inquietudine. E forse son Santi.

Fin dall’inizio la Chiesa consacrò un giorno dell’anno alla memoria dei suoi figli più illustri, morti per la fede. Ma il numero di questi crebbe a dismisura in seguito alle persecuzioni, talché non fu più possibile dedicare un giorno a ciascuno. Si pensò allora a una celebrazione comune.

Come risulta da alcune omelie di San Giovanni Crisostomo, la Chiesa antiochena fissò la festa alla prima domenica dopo Pentecoste. L’uso si generalizzò poi nelle Chiese orientali. Ebbe origine romana in Occidente. Fu papa Bonifacio IV che, ottenuto dall’imperatore romano Foca il pagano Pantheon, lo purificò, lo trasformò in Chiesa e lo dedicò a «Sancta Maria ad Martyres». Il 13 maggio del 609, giorno della consacrazione, divenne in Roma giorno della celebrazione di tutti i santi martiri.

Nel secolo successivo, nella basilica di San Pietro, Gregorio III consacrò un oratorio al Salvatore, alla Madonna e «a tutti gli apostoli, martiri, confessori, e a tutti i giusti perfetti morti per tutto l’orbe». Così fu costituita la festa di Ognissanti, che sotto Gregorio IV venne definitivamente fissata al primo novembre.

Questa celebrazione, cui fa seguito quella dei fedeli defunti, mette in azione il dogma ineffabile della comunione dei santi. Il sangue di Vita circola in questi giorni nelle vene della Chiesa madre. Chi sta ancora nel combattimento, e non sa come si concluderà, guarda a coloro che l’hanno preceduto — i fratelli beati — per essere sostenuto, per trovare nel loro esempio una norma di condotta e un motivo di speranza.

Rispondono i beati a tanta fiducia col patrocinio presso il trono di Dio. Domani, dal Purgatorio giungerà a noi e salirà fino ai beati un grido di soccorso; sarà la perfetta realizzazione del dogma consolatore. Noi celebriamo la gloria dei fratelli arrivati al Regno.

Terra e cielo sono in festa. I Santi, giunti in cielo da ogni parte dell’orbe, da ogni popolo e nazione, cantano le glorie eterne.

«In quei giorni — dice Giovanni nell’Apocalisse — vidi un altro Angelo che saliva da levante e teneva il sigillo di Dio vivo. E gridò ad alta voce ai quattro Angeli ai quali era stata data potestà di danneggiare la terra e il mare: Non danneggiate né la terra né il mare né le piante, finché non abbiamo messo l’impronta in fronte ai servitori del nostro Dio. E udii il numero di quelli che avevan ricevuto l’impronta del sigillo… Dopo queste cose vidi apparire una folla immensa che nessuno potea contare, d’ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che stava in piè dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello. Indossavano tutti delle vesti bianche, tenean de’ rami di palma in mano ed esclamavano ad alta voce: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all’Agnello! E tutti gli Angeli stavano in piè, circondando il trono…».

Quello è il Regno, quella è la nostra Patria. Il cammino per giungervi è tracciato nel Vangelo delle beatitudini: distacco dai beni terreni, mansuetudine, sete di giustizia, amor di sofferenza, castità, letizia, carità. Questa via i beati l’han già percorsa. Non ci rimane che imitarli.

Non tristezza di crisantemi dunque, ma sinfonia d’Angeli, ma alito di gigli.

BENIGNO

2 novembre 1947