domenica, agosto 10, 2025

Partono i bastimenti

NAPOLI, gennaio.

Uno spettacolo senza precedenti ci si presenta lungo le strade che conducono al porto. Sono gli emigranti che arrivano su autocarri attrezzati alla bisogna, pronti a imbarcarsi sul «Santa Croce» che salperà per l’Argentina.

Il pensiero risale a tanti anni addietro, quando in lunghe miserabili teorie questa povera gente nostra affluiva dai più lontani paesi col sacco a spalla e il bordone del pellegrino: taluni scalzi, i più laceri, scarni, segnati dagli stenti e dal dolore. La fame li aveva stanati dai focolari spenti dove i più vecchi restavano ad attendere il tozzo di pane strappato in terra lontana da chi aveva ancora muscoli, sudore e sangue per arricchire lo straniero.

Come bestie, con lo stomaco stirato dai patimenti, giungevano qui a branchi, si sdraiavano stracchi sui moli, in attesa della prima carcassa che li imbarcasse, della prima ciurma che li gettasse in fondo ad una maleodorante stiva, donde taluno risaliva a stento per guardare allontanarsi quella terra che lo respingeva più con rancore che con nostalgia.

Non sapevano più piangere, non sapevano pregare più: aridi gli occhi, freddo il cuore. Erano i tempi della prima propaganda messianica: «La Patria è il mondo» avevano predicato i demagoghi col cappellaccio sulle ventitré e la cravatta a farfallone.

Così partivano disperati, sebbene non riuscissero a far tacere una voce che saliva dal profondo. C’era chi, per farla tacere del tutto quella voce, si metteva a cantare: «Me ne vogl’i all’America — che sta lontana assaje — me ne vogl’i addimane — nun voglio torna’ chiù…».

Molti, troppi non tornavano più davvero, rami verdi staccati dal tronco che pian piano intristiva…

Questo autocarro che mi sta dinnanzi, porta membri di famiglie diverse. Ogni individuo non è un numero, è un nome, e lo porta scritto sul bavero con un certo sussiego. Dal vestito all’atteggiamento, ai volti traspare un’aria che, se non è proprio di festa, certo è di raccoglimento, di tranquillità.

C’è, sì, uno sguardo pensoso di donna che pare attaccarsi con tutta l’anima alla terra che abbandona, ma quanto diversa è l’atmosfera in cui respirano questi bimbi incappottati, questi adulti che sanno dove e come troveranno lavoro e pane per i loro cari!

Si sentono attesi, protetti, assistiti, ecco; e non solo materialmente, chè c’è chi ha già pensato alla cura delle anime: troveranno di là dell’oceano lo stesso Cuore umano e divino.

E allora, anche se non rimpiangono troppo la Patria dilaniata dalle discordie intestine, sanno che laggiù costruiranno un avvenire migliore per i suoi figli e che la Patria risorgerà; la Patria non potrà morire finché ognuno, vicino o lontano, la porterà in cuore con la Fede dei padri.

 

BENIGNO

18 gennaio 1948

venerdì, agosto 08, 2025

The dangerous lesson from Switzerland’s assisted suicide regime

An Irish woman travelled to Switzerland to end her life through assisted suicide and her family only learned of her death afterwards, leaving them devastated. Such situations can occur in any jurisdiction where euthanasia or assisted suicide is legal, as there is generally no legal requirement to inform family members in advance. The decision is treated as a private matter between the individual and the providers.

The recent death of Maureen Slough, an Irish woman who travelled to Switzerland to end her life through assisted suicide, has reignited concerns about the country’s permissive approach to the practice, and the possibility of similar laws being introduced in Ireland.

Maureen’s family were left shocked and devastated after learning of her death only after the fact. The news came not from a relative or a doctor, but through a WhatsApp message from Pegasos, the Swiss assisted-suicide clinic where she died.

“It was one o’clock our time… I got the message saying my mum was gone,” her daughter, Megan Royal, recalled. The message stated that Maureen “passed away peacefully… embraced by a Pegasos nurse, an attendant, and a dog,” with Elvis gospel music and Amazing Grace playing.

Maureen was not terminally ill. According to her daughter, Megan Royal, she had endured years of chronic pain, bereavements, and two prior suicide attempts.

Switzerland is known for “suicide tourism” as it is relatively easy to access. It allows assisted suicide for any adult who has full mental capacity, is free from coercion, and can self-administer a lethal substance. There is no requirement for a terminal diagnosis or even illness. A doctor must confirm mental capacity and prescribe the means, but the person assisting does not have to be a medical professional.

Pegasos claims Maureen underwent psychiatric evaluation and provided documentation of “unbearable chronic pain”. Her daughter Megan disputes the process.

Critics say this amounts to “assisted suicide on demand,” and Pegasos openly states that it supports the right of any competent adult to choose death, regardless of nationality. The organisation has encouraged greater international acceptance so people “needn’t travel to Switzerland” to end their lives.

Last year, commenting on the report of the Oireachtas Committee on Assisted Dying, a spokesperson for the Swiss clinic said: “At Pegasos, we believe that adults capable of judgement should be allowed to exercise their right to a self-determined, dignified death. We hope that the social and individual acceptance of assisted dying, also in foreign countries, might improve in the future, so that people from abroad needn’t travel to Switzerland.”

The Swiss model was defended by Irish campaigner Tom Curran at the hearings of the Oireachtas Committee on Assisted Dying. He told them that he personally knew of eight Irish people who had ended their lives at Pegasos in 2023 alone. Many, he said, travelled via the UK or used a UK address to avoid detection from Irish authorities.

Curran is the director of Exit International, a group lobbying for highly permissive assisted suicide laws. He has helped draft proposals to legalise the practice in Ireland.

Another Swiss clinic, Dignitas, currently counts 123 Irish members and says it has assisted at least 13 Irish citizens to die since 1998.

What happened to Maureen could happen anywhere assisted suicide is legal. In Switzerland, or anywhere else where assisted suicide is permitted, there is no legal obligation for clinics to inform relatives beforehand. The decision is treated as a private arrangement between the individual and the provider.

Supporters of such laws argue that this protects personal autonomy. the belief that individuals should have the ultimate say over their own lives, including when and how they end. In such a framework, families may have no legal say in the decision, regardless of the emotional consequences. But critics warn it can isolate the person who wishes to die, and leave families blindsided and emotionally shattered.  In some cases, families might even have a vested interest, financial or otherwise, in approving, or at least not opposing, the death of a relative.

If Ireland were to legislate for assisted suicide, there is little to suggest that families would be informed in advance or have any legal say. This risks normalising death on demand and undermining protections for vulnerable people.

The Swiss approach is not a model to emulate. It should serve as a warning, not an example.

domenica, agosto 03, 2025

Bombe contro Dio?

Dopo i saggi di petardo-mania che gli eroi del «botto» hanno ostentato per le strade in occasione delle vacanze natalizie, abbiamo avuto veri e propri attentati nei templi in attesa del primo divino vagito e in qualche casa religiosa mentre le famiglie erano riunite intorno alle mense per il tradizionale cenone.

Tubi di gelatina collocati nella cattedrale di Favara (Sicilia) hanno causato danni all’edificio.

A Porto Maurizio venivano lanciate due bombe contro il maggior tempio affollatissimo, durante la celebrazione della Messa di mezzanotte, provocando danni di notevole entità.

Altro attentato del genere si è verificato a Cortenuova, nei pressi di Empoli.
Una formidabile deflagrazione ha terrorizzato gli abitanti di Albano nella stessa notte santa, causata dall’esplosione di una grossa carica di tritolo davanti al cancello del Giardino Murialdi, dove hanno sede i Padri Giuseppini.

Non è chi non veda in questi atti sacrileghi e simultanei l’esecuzione bestiale di ordini che partono da una «centrale» e vengono attuati da irresponsabili, tanto più che gli attentatori son giovinastri intorno ai vent’anni, i quali dal petardo innocuo possono passare al tritolo e alla bomba con una certa... fanciullesca disinvoltura.

Ma che si vuole ottenere con simili gesti criminali? Che le folle disertino gli altari dove le troppe miserie aggravate dalla discordia le chiamano con irresistibile voce?

Le genti sono avide di un dono immenso che i «grandi» della terra dimostrano con recidività impressionante di non saper dare, e si rivolgono a Colui che commise a Pietro la salvezza della sua eredità: «Vi lascio la pace, vi dono la mia pace!».

Si vuole impedire che Gesù manchi all’appuntamento nell’algida notte di Natale, e porti altrove il suo primo vagito, lontano dagli uomini di cattiva volontà?

Oppure «i fautori della negazione e della discordia, con tutta la schiera di profittatori che trascinano al loro seguito, vogliono così dimostrare il proprio giubilo, al pensiero o all’illusione che la loro ora è vicina?».

Certo, chi agisce con tanto livore, nell’ombra, è nemico acerrimo di Colui dalle cui labbra uscì un giorno il grido: «Veritas liberabit vos».          
«Questo grido — ha detto il Pontefice — non è mai risuonato più potente che oggi in un mondo che sente gravare su di sé il giogo della menzogna».

Dichiarino dunque i senza-Dio la loro guerra maledetta all’umanità tribolata. Il rigurgito d’odio potrà tutto travolgere e annientare: ma finché sulla terra resterà un solo uomo-immagine e somiglianza del Padre, l’Unigenito Figlio tornerà sempre a farsi crocifiggere per lui, a elargire a quell’uomo pace, verità, Amore.

 

BENIGNO

4 gennaio 1948

venerdì, agosto 01, 2025

Healthy three-parent babies: but does the end justify the means?


Recently, British media celebrated the birth of eight babies using a groundbreaking genetic technique designed to prevent the transmission of certain hereditary conditions. Headlines hailed it as an unqualified success: eight healthy children, spared the prospect of devastating illness. But this achievement comes at a profound moral cost, one that has been almost entirely absent from the public conversation: the new technique involves the destruction of human life.

The method, known as mitochondrial replacement therapy (MRT), uses genetic material from three people. In 2015, the UK became the first country to legalise it, with the stated aim of preventing maternal mitochondrial diseases, rare but potentially fatal disorders caused by faulty mitochondria.

Mitochondria are tiny structures in our cells that we inherit from our mothers. In MRT, scientists use two fertilised human eggs: one from the intending parents, which carries defective mitochondria, and one from a donor woman with healthy mitochondria. The nuclear DNA, which determines personal traits like appearance, personality, and height, is removed from the parents’ fertilised egg and transferred into the donor’s fertilised egg, after the donor egg’s own nucleus has been removed and destroyed. The resulting embryo has nuclear DNA from the mother and father, and a small amount (less than 1%) of mitochondrial DNA from the donor.

Although this might appear to be a compassionate use of science to prevent suffering, it involves practices that are gravely unethical.

First and foremost, the process requires the creation and destruction of multiple human embryos. Each embryo is a human being with inherent dignity and the right to life from the moment of conception. Discarding or experimenting upon embryos is, therefore, morally unacceptable.

Secondly, the technique entails altering the DNA in such a way that changes will be passed on to future generations (germline genetic modification). This raises profound moral questions. Once we begin to manipulate the genetic makeup of human beings at the embryonic level, where do we draw the line?

For this reason, mitochondrial replacement therapy is banned in countries such as the US, Germany, France, Italy. In Ireland, the Assisted Human Reproduction Act 2024 includes a clear ban on mitochondrial replacement, but the Act is not yet commenced.

Although the term “three-parent baby” is often used in the media, it is a bit inaccurate. Personal genetic characteristics like appearance, personality, height, eye colour, or intelligence are not passed on through mitochondria. Yet mitochondrial replacement therapy still introduces a third genetic contributor, raising complicated ethical and legal questions about parenthood.

Medical science must always serve the integral good of the human person, respecting both physical life and moral law. While the desire to prevent illness is good and understandable, not every technologically possible solution is morally permissible. The ends do not justify the means, especially when those means involve the destruction of human lives, however early in development.

Moreover, these new techniques reflect a worrying trend in modern biotechnology: reducing human beings to a set of biological components to be manipulated, optimised, or discarded. Such a view undermines the sanctity of life and the unique, irreplaceable value of each person.


Analysis Stock photo by Vecteezy


domenica, luglio 27, 2025

Volti tumefatti e cascate di dollari

La notizia dell’incontro di pugilato fra Joe Louis — il bombardiere nero — e Jersey Joe Walcott — il pugile affamato — che, come si dice in gergo sportivo, s’è battuto con generosità senza pari, era passata quasi inosservata, incalzata da notizie di scontri... collettivi, quando ci son capitate sott’occhio due foto d’oltreoceano: quella della famiglia del «povero negro» e l’altra che mostra, nell’ultimo sforzo dell’atleta, la sua smorfia di indescrivibile dolore: un misto di angoscia e di delusione, uno spasimo di tutto l’essere, proteso a conquistare quella vittoria di cui l’opinione pubblica è tuttora convinta che gli spetti. E lo dimostrano i numerosi telegrammi indirizzati al Governatore dello Stato di New York per protestare contro il verdetto dell’arbitro.

Nonostante il volto tumefatto e un occhio semichiuso del vincitore (ma questo non c’entra, asseriscono i competenti) il verdetto difficilmente verrà annullato; mentre sembra certo che il famigerato organizzatore Mike Jacob non si lascerà sfuggire l’occasione per effettuare l’attesa rivincita.

Si specula sul dolore fisico e morale; si coglie il pretesto della vittoria carpita per provocare un’altra cascata di dollari e solleticare la ferinità nell’umana natura... collettivizzata.

Non abbiamo mai compreso, nonché giustificato, un genere di sport che aizza l’un contro l’altro due esseri, due corpi, due anime che si massacrano per l’avidità altrui. È risaputo, infatti, che il benessere materiale dei pugili più famosi dura poco, ché troppo breve è il loro passaggio terreno, affrettato dal bestiale mestiere.

Ma ciò che più impressiona in queste due foto, oltre al volto indefinibile del «pugile affamato» è la famigliuola che il Pastore della chiesa del Calvario saluta laggiù, nella porta del tempio, stringendo la mano al campione, prima della prova. I sei fanciulli sono intorno al padre che sta per tentare di cambiare la loro sorte. In prima fila ci sono: Elva di 12 anni, Loris di 10, Ruth di 9, Vincent di 7, Carol il minore, di 3; dietro, fra Jersey Joe e il Pastore c’è Arnold, il figlio maggiore, di 14 anni, accanto alla madre.

Guardate i volti: vicino ai più o meno inconsapevoli profili dei minori, ecco il volto ottimista di Elva che sorride alla visione di una imminente bramata felicità, cui fanno contrasto lo sguardo pensoso di Arnold e quello addirittura terrorizzato della moglie del pugile sfortunato. Né si può affermare che la faccia del Pastore sia incoraggiante...

Unico conforto a tanto «botte» ricevute invano, la sarabanda dei fratelli negri che portarono in trionfo... il vinto.

Ma che bel mestiere arricchirsi a spese delle folle imbestiate e dei volti tumefatti!

BENIGNO

28 dicembre 1947

domenica, luglio 20, 2025

Ritorno del principe azzurro

Già, pare impossibile: nonostante il fango che scorre nelle strade, le Lucie moderne (che rappresentano poi quanto di meglio possano sperare i giovani per metter su famiglia) ritornano a sognare il Principe Azzurro. Non sarà più il bellissimo Delfino che rapiva la bella in un cocchio tirato da quattro coppie di cavalli bianchi e che accoglieva la spaurita sposina dentro le ali del suo ampio mantello di velluto, ma insomma «le nozze di Amalia Salamene — palermitana — costituiscono una storia abbastanza movimentata, e, in un certo senso, drammatica». Fidanzatasi tre anni fa in Italia con un soldato, tale Michael Biarrio, giunse in America lo scorso agosto, usufruendo degli speciali permessi concessi alle fidanzate degli ex-combattenti. Senonché... poco dopo il suo arrivo fu annunciata la rottura del fidanzamento. Biarrio spiegò che la fidanzata era diventata... troppo «complicata» (Sfido, cercava il Principe!). E allora bene ha fatto il Biarrio, ché, fra i difetti riscontrati nel grande popolo d’oltreoceano, un pregio è certo, ed è quello della semplicità — anche troppa — con cui affrontano le situazioni ordinarie e... straordinarie; talvolta si direbbe faciloneria.

In base alle severe leggi sulla immigrazione, Amalia avrebbe dovuto rimpatriare; ma sì, ben 60 — diconsi sessanta — cittadini americani si offrirono in quella occasione di sposarla perché potesse restare in America.

Fu così che Louis Cadello sostituì Michael Biarrio.

L’idillio non poteva durare a lungo perché l’affetto non si offre, si conquista. Trovò anche Louis «difficile» la fidanzata o fu Amalia a non trovare in lui quel che aveva sognato?

Sta di fatto che la «complicata» fanciulla s’è finalmente decisa ad annunciare il suo imminente matrimonio (forse a questa ora celebrato) con... Ed eccoci al mistero. Il nome dello sposo è giunto incompleto, pressoché ignoto come si conviene ai Principi Azzurri. Si sa soltanto — ed è l’importante — che il Vescovo di Springfield, vista l’urgenza e l’eccezionalità del caso, ha concesso la dispensa dalle pubblicazioni.

Noi non possiamo che formulare i nostri cristiani auguri, tanto più fervidi in quanto il matrimonio si celebra nella chiesa intitolata a Monte Carmelo, la montagna della Palestina famosa per i miracoli che vi operò il profeta Elia.

Dopo di che vorremmo aggiungere un consiglio alle fanciulle nostrane. Il noto adagio della moglie e dei buoi paesani ha indubbiamente fatto il suo tempo, anche per l’irriverente accostamento, ma sta di fatto che il Principe Azzurro — di cui salutiamo l’auspicato ritorno caro ad ogni anima bennata — è più facile trovarlo nel paese di nascita, o, almeno, in terra d’origine.

Sappiamo di atroci delusioni di sposine europee che salparono col marito straniero per raggiungere paesi d’oltremare. Qualcuno che con semplicità tutta americana s’era presentato come principe o giù di lì, è tornato in patria con la moglie a fare il garzone di latteria o il ciabattino!

Quando si dice l’esteromania!

Benigno

21 dicembre 1947

domenica, luglio 13, 2025

Dopo la scuola si marina … la casa

Anche ieri — narra la cronaca — sono fuggiti dalle rispettive abitazioni tre ragazzi di 12 anni: Leonardo Ancona, abitante in Via della Scrofa, 134; Rosario Conti, abitante in Via di Valle Aurelia, 80; e Marcello Pompei, abitante in Via Pietro Bembo, lotto 17 (Primavalle). I domicili servono a chiarire qualche circostanza... speciale? No; servono soltanto a indicare — almeno gli ultimi due — che si tratta di famiglie della periferia, e, probabilmente, non abbienti: il che lascerebbe supporre fosse in giuoco la fabbrica dell’appetito non del tutto soddisfatto tra le pareti domestiche. Senonché il Conti, quello di Via di Valle Aurelia, precisa la cronaca che scappando di casa ha portato con sé un prezioso anello appartenente alla madre. Grande stupore del confratello del mattino, che con aria nostalgica commenta: «Le fughe dei ragazzi di una volta potevano commuoverci, erano pagine indimenticabili nella storia dell’infanzia. I bambini d’una volta leggevano “Sussi e Biribissi”, un libro in cui si narrano le avventure di due ragazzi che vogliono raggiungere il centro della terra».

Scappare di casa per il miraggio d’una bella avventura! Chi di noi, confessiamolo, non è scappato di casa, almeno con la fantasia, leggendo certe pagine avvincenti di piccoli eroi, che sapevano trasformare in sogno le immagini e gli esempi della quotidiana realtà? Gli è che oggidì i fanciulli sono abbandonati a se stessi, e se proprio certe letture non sono date loro in pasto, vengono permesse, il che è equivalente. E allora nessuna meraviglia se al posto di specchietti e coralli per ammansire gli eventuali selvaggi in un mondo di conquista, i ragazzi moderni e... progressivi sottraggono alla mamma un anello prezioso. Sono di una logica sconcertante i ragazzi «novecento» e attaccati alla realtà loro scodellata in tutte le salse, anche piccanti, come l’ostrica è attaccata allo scoglio.

Ma non esageri il confratello col monito: «Sculacciateli senza pietà!», che riprende con domestica affermante lo «sterminateli!» di tragica e... attuale memoria. Noi saremo inguaribilmente evangelici, ma dobbiamo ricordare che Gesù impugnò la fune, cioè diede un pallido saggio dell’ira divina coi mercanti che profanavano il Tempio del Padre.

Nel tempio della casa dell’uomo, specialmente se cristiana, i genitori facciano l’esame di coscienza; meditino, cioè, chi fu il primo a profanare la santità del focolare con la parola e con le opere. Si convinceranno che il vergine cuore del fanciullo non si conquista con le «manate» ma ancora e sempre con l’amore: il che vuol dire aver cura di lui come di una perla rara, come di un delicato cristallo che l’alito impuro appanna.

Allora si accorgeranno che l’amore vince; anche in quella casa dove ci sia poco pane e poco panno, il «passerotto» sentirà tanto calore da non avere il coraggio di abbandonare il nido.

BENIGNO

7 dicembre 1947

domenica, luglio 06, 2025

Borsa nera del divorzio e santità del matrimonio

La disintegrazione sociale è in atto: di Dio, infatti, si può fare a meno perché non si vede; la patria è là dove si sta meglio; la famiglia... ecco, bisogna dar colpi di piccone a questa pietra angolare dell’edificio. E si attenta alla santità del matrimonio predicando il libero amore e praticando, cioè, estorcendo il divorzio a prezzi di borsa nera.

Notizie recenti c’informano che in Ungheria il dente del giudizio matrimoniale si può cavare con meno di un milione, mentre in Romania ne occorrono due, ed anche tre quando i richiedenti sono molto ricchi. Un lusso, come si vede, a carattere rigidamente morale e antiprolerario. Mentre però, col divorzio ottenuto in Ungheria, i coniugi perdono la cittadinanza italiana, ciò non avviene in Romania. Non che tale perdita impressioni troppo quei tali coniugi. È noto che per raggiungere lo scopo, in certi casi essi non esitano a rinunciare anche all’Italia, divorziando in Ungheria: per lor signori la patria dev’essere al servizio dei sensi.

Qual è la prassi... provvidenziale? S’occupa di tutto l’avvocato, il quale, in collegamento con un collega rumeno, scambia lettere e documenti, fissando anzitutto il domicilio delle parti in un qualsiasi paese rumeno. Dopo pochi mesi, tramite il ministero degli esteri, arriva in Italia la sentenza di annullamento di matrimonio fra le due parti residenti in Romania, che viene qui trascritto a margine dell’atto di matrimonio. Nessuna altra interferenza giuridica è necessaria, in base all’articolo della convenzione italo-rumena del 1889, interpretato «ad usum delphini». Si elude così l’intervento dei tribunali italiani, i quali, per l’art. 34 del Concordato con la Santa Sede, dovrebbero dichiarare ineseguibili e privi di valore gli annullamenti carpiti all’estero.

Conclusione: della pastetta in famiglia la Chiesa nulla sa; bigamo è per lei quello dei coniugi che passi a seconde nozze, come è colpevole di concubinaggio chi... li impalma.

Bigami dunque consapevoli e consenzienti al male, cioè al vizio, ché, a prescindere da qualsivoglia considerazione, la Chiesa non si presterà mai a scappatoie di questo genere, profondamente immorali perché monopolio di milionari.

Dal «non licet» ad Enrico VIII, il re poligamo, la Chiesa non ha ceduto di un pollice e tutto quanto avviene a sua insaputa è fuori della legge di Dio, il quale creò uomo e donna e li benedisse esclamando: «Crescete e moltiplicatevi»; e aggiunse: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due esseri in una sola carne».

Il matrimonio è inoltre, per volere di Gesù Cristo, supremo legislatore, ripristinato nell’unità e nell’indissolubilità, accrescendo la grazia santificante e conferendo la grazia sacramentale per adempiere i doveri dello stato coniugale.

Come potrebbe allora la Chiesa, sposa di Gesù, tradire il mandato avuto dal suo Sposo divino?

Dissentano pure i legulei pro e contro il divorzio carpito in terra straniera. Dire oggi «mi sono annullato in Romania» è diventato «snob», indizio di una esistenza alla Sartre, cioè famelica di tutti i vizi. Ma la Chiesa non deflette e non defletterà mai, perché sa, oltre a tutto, che il rimedio è peggiore del male.

Non può cioè consentire che l’umana società si trasformi in conigliera.

BENIGNO

7 dicembre 1947

domenica, giugno 29, 2025

Il bagaglio pronto

 Arrivati all’età matura s’aspetta che qualcuno bussi alla porta da un momento all’altro.

«Purché sia accompagnata — si pensa — tutto andrà bene».

Ma sarà accompagnata se avremo preparato il bagaglio; il che significa aver fatto la pace, prima con sé, poi con il prossimo. Allora la misteriosa visitatrice può arrivare anche inavvertita. Non solo non fa paura, ma si aspetta che ci passi la mano un po’ fredda sulla fronte come una madre, e magari ci aiuti lei a portare il bagaglio fino alla presenza del Padre.

Matteo non aveva mai pensato, in verità, che qualcuno potesse bussare alla porta di casa per prelevarlo e portarselo via. Di prelevamenti aveva sentito parlare, ma non potevano interessarlo, e tanto meno preoccuparlo, non essendosi mai occupato di parte guelfa o ghibellina, di bianchi o di neri, di palleschi o di piagnoni: perché per Matteo, uomo saggio e pensoso di tanti umani eventi, fuorché dell’evento definitivo, tutto si riduceva, almeno nel suo povero paese, a un ripetersi di cicli storici, e perciò di lotte intestine tra fazioni. Soleva dire che la sua gente era troppo geniale e che la natura si ripagava della genialità prodigata condannandola alla miseria. Convinto perciò che ogni partecipazione alla lotta che non sia quella per il pane quotidiano si risolvesse in perdita di tempo e di sangue, Matteo aveva imparato a guardare la vita con occhi di esiliato. Può un esiliato interessarsi agli avvenimenti del paese che l’ospita? Le folle per lui non erano che greggi allucinate, in perpetuo cammino dietro un falso miraggio, greggi manovrate da pastori pensosi di un solo problema: il proprio. Non s’accorgeva, però, che fuori del gregge non era concesso neppure di partecipare della stessa vita, ché questa esclude o butta ai margini i disertori.

Matteo, uomo saggio, in fondo, e probo a modo suo, non aveva mai visto la Morte in faccia. Gli avi erano scomparsi prima ch’egli venisse al mondo, e padre e madre scoppiavano di salute. Non aveva altri parenti prossimi o remoti. Misantropo per natura, egoista per elezione, non s’era mai accorto che la falce mieteva intorno a lui di giorno in giorno. Non era mai entrato in un cimitero; non aveva mai voluto seguire un corteo funebre. Se ne vedeva qualcuno da lontano, cambiava strada. Si giustificava dicendo che una cosa è la vita, una cosa è la morte e che della vita bisogna godersi i frutti più maturi, se no li colgono gli altri a tue spese. Di conseguenza, Matteo era sempre di buon umore: un esiliato, insomma, che avvicinava il prossimo solo per trarne vantaggio.

Quella sera andava verso casa sorpreso da un’ansia mai provata. Sentiva nella testa e nel sangue uno strano vago risentimento. All’angolo guardò: il portone era chiuso a metà! Fece le scale di corsa, aprì la porta col gelo fra i capelli. La vecchia madre gli venne incontro, lo baciò, lo condusse, gl’indicò la casa di fronte.

— È morto il Cav. Venuti. Bisognerà vegliarlo stanotte: sai, è stato sempre buono con noi.

— Sì, mamma, sì.

Nessuno gli levò dalla testa che la «nemica» dei reprobi e degli indifferenti aveva sbagliato porta; e quella notte stessa, dopo la veglia, cominciò a prepararsi il bagaglio, cioè a fare l’esame di coscienza.

Fu il primo richiamo; ma ne ebbe altri, Matteo, prima di partire da questo mondo. E se li meritò con la consolidata fede. Nessuno di noi sa invece se, col bagaglio in disordine, avremo tempo di raccomandarci l’anima al Padre; perché tutte le ricchezze, le battaglie, le conquiste della vita, non valgono quella semplice previdenza: tenere il bagaglio pronto.

Benigno

23 novembre 1947

 

domenica, giugno 22, 2025

C’è guerra nei cuori

Da tre anni e passa ci stiamo illudendo che la guerra è finita. Ce la diamo ad intendere come al malato grave si dà ad intendere che è prossima la guarigione, mentre di prossimo non c’è che la morte; ma della guerra scoppiata nei cuori, della guerra ancora e sempre in atto ci accorgiamo anche senza leggere le gazzette.

Gli occhi di chi ci passa accanto hanno la stessa inquietudine di allora, quando ci straziavano tremendi ordigni di distruzione: la stessa aria smarrita, la stessa ansia dipinta nei volti, seppure temperata in taluni dall’ingordigia di vivere, in altri dal desiderio di straniarsi dalla giornata mortale, di «evadere» insomma, parola che ha fatto le spese di troppo romanticume per conservar tuttavia qualche significato.

Niente da fare; non ti strani, non evadi, anche se fai lo sciopero della lettura, anche se scantoni alla svelta per non captare al vicino chiosco quel che t’urla all’orecchio lo strillone fantasioso, il quale non ha più nulla da inventare, tanto la realtà supera qualsivoglia fantasia. Basta che lo sguardo scorra le sgargianti mostre dove donnine succinte (quando s’accorgeranno che sono molto più interessanti decentemente vestite?) o truculente figure da tragedia vengono date in pasto alla morbosa curiosità del pubblico. Basta fermarti ai titoli della cronaca sempre più nera, che ha creato periodici d’ogni tipo e colore, dove tutto ciò che di più intimo e miserrimo c’è nella natura umana, vien messo a nudo brutalmente.

Ma non allarghiamo la visuale e limitiamoci ai delitti. Ecco una rapida elencazione dei «fattacci» di questi ultimi giorni:

— «Maria Fusco crede che il capitano Ring sia stato ucciso. La donna ha lasciato chiaramente comprendere che l’uccisione del capitano debba ritenersi legata a un affare di controspionaggio. Il Ring conduceva, infatti, vita misteriosa ed era continuamente in relazione con elementi della polizia inglese. Tutte le notti lasciava la casa quasi di nascosto: prendeva una gondola e vagava per la laguna».

— «Accertato dall’autopsia che l’abate è morto soffocato».

— «Lai Quadrini lo ha dannato — ha detto — il venerando avv. Marzi».

— «La tragedia del Veruno. Una lettera testamento trovata indosso all’assassino. È stata trovata una lettera nella quale Alessandro Sarò spiega le ragioni che lo hanno spinto ad uccidere la vedova, non avendo voluto questa mai corrispondere alle sue insistenti profferte d’amore. Nella lettera egli poi dispone dei suoi modesti beni e lascia alla moglie, con la quale non andava più d’accordo, la “stanza maledetta” come egli chiamava la camera nuziale».

— «Spara 10 revolverate perché non lo lasciano dormire».

— «Noleggiano un taxi, rapinano l’autista e lo lasciano mezzo morto sull’argine del Tevere».

Ed ecco la nota bellica autentica:

— «Ragazzo ucciso da una mina anticarro».

Poi la nota politica:

— «Nuova aggressione contro l’On. Matteotti» (già, si tratta proprio del figlio della vittima che da un quarto di secolo incombe sulla vita politica italiana. E tralasciamo le violenze dell’ultima battaglia elettorale culminate nell’assassinio di Gervasio Federici).

— «Strozza la moglie incinta di sette mesi perché è stanco della vita coniugale».

«Dulcis in fundo» il dramma di gelosia:

— «Un polacco ubriaco e cocainomane ferisce gravemente l’amante e uccide la figlia dodicenne a revolverate».

Ce n’è proprio per tutti i gusti... marci! E abbiamo volutamente escluso quelle orripilanti gazzette illustrate, specializzate nell’introspezione dei crimini, che in nome di una mostruosa libertà continuano a intossicare anime e cervelli. Significativo: il novanta per cento dei protagonisti di queste... brillanti avventure sono giovani dai diciotto ai trent’anni. E non parliamo dei violenti contro se stessi: i suicidi.

La guerra dunque continua: il suo seme maledetto trova il solco concimato da tutte le più immonde sozzure. Un lezzo di basse passioni, di sentina, di odio sale dalle strade malfamate.

Non ci sarà tregua d’armi finché c’è guerra nel cuore.

 

BENIGNO

16 novembre 1947